Bioetica in odontoiatria: «Non si vende nulla, si cura un paziente»

Pazienti, non clienti, sulla poltrona del dentista: etica e bioetica chiamate in odontoiatria soprattutto a contrastare la deriva economica che la professione rischia di intraprendere. «Qualcosa – spiega subito e senza mezzi termini Giuliano Nicolin, presidente della Commissione Albo Odontoiatri dell’OMCeO veneziano – di cui dobbiamo appropriarci».
Questa la riflessione al centro del convegno Bioetica nella pratica odontoiatrica che si è svolto sabato 21 gennaio nella sede mestrina dell’Ordine, organizzato dalla CAO e dalla sezione veneziana dell’Andi in stretta collaborazione con Giovanna Zanini, presidente del Comitato Etico per la Pratica Clinica del distretto veneziano e di quello Dolo-Mirano dell’Ulss 3 Serenissima. Un convegno diviso in due parti – una prima di relazioni frontali con due ospiti illustri, una seconda di grande concretezza con l’illustrazione di casi clinici pratici – che ha visto un’altissima partecipazione degli odontoiatri locali.

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«Perché parlare di bioetica – aggiunge Nicolin – in una professione quasi esclusivamente privata e in cui è pesantemente presente l’aspetto economico? Per tanti motivi: perché noi abbiamo un rapporto privilegiato col paziente, personale, che si consolida nel tempo. Perché curiamo un organo particolare che esprime sentimenti, piacere, che è il biglietto da visita delle persone. C’è una componente psicologica molto forte: siamo spesso chiamati a dare risposte o a giustificare scelte terapeutiche e lì dove non arriviamo con le competenze tecniche, con le leggi e con i regolamenti, possiamo arrivare con l’etica».
«Il nostro mondo – aggiunge Stefano Berto, presidente della sezione lagunare dell’Andi e consigliere OMCeO – sta cambiando a una velocità drammatica. Il dolore da sintomo si trasforma in malattia. Poi c’è l’ambito estetico da affrontare… I problemi allora si risolvono confrontandosi tra di noi e dando un’informazione corretta al paziente».
«L’odontoiatra è un chirurgo – il messaggio arrivato da Giovanni Leoni, presidente dell’OMCeO veneziano – e, a tutti gli effetti, ha responsabilità di tipo medico, chirurgico e imprenditoriale. L’argomento è poco conosciuto e ce ne accorgiamo di più adesso quando il rapporto medico – paziente viene così alterato. La crisi del settore è dovuta anche ad un rapporto dentista - residente fra i più alti in Europa. I giovani odontoiatri invece che alla normale evoluzione mediata da un collega più anziano, possono ritrovarsi con la collaborazione in un poliambulatorio low cost come unico sbocco professionale, in cui la componente economica può influenzare l'etica e la  coscienza professionale».
«Ben vengano – la posizione di Luca Dal Carlo, presidente dell’Andi regionale, presente in sala, che ha lodato la stretta sinergia e l’atmosfera di grande collaborazione tra medici e odontoiatri nell’Ordine lagunare – i corsi sulla bioetica. Noi dentisti abbiamo un rapporto con i pazienti tale per cui dobbiamo cercare di interpretare i loro desideri e cercare di attuarli. Questo non è semplice. La nostra professione è particolarmente esposta agli errori. Il rapporto con il paziente si matura nel corso degli anni, con l’esperienza, ed è questo, il dialogo, che dovremmo cercare di insegnare ai colleghi più giovani».

Due gli ospiti illustri, tra i maggiori esperti nazionali in materia, chiamati a declinare il tema: Mauro Rocchetti, vicepresidente vicario dell’Andi, e il professor Antonio Gioacchino Spagnolo, direttore dell’Istituto di Bioetica e Medical Himanities.
«L’etica – dice subito Rocchetti – è oggettiva e non è la morale. Può essere un plusvalore, una risorsa nel nostro lavoro e migliorare l’efficienza del servizio nello studio odontoiatrico. Non appesantisce, anzi: porta grandi benefici». A regolarla ci sono alcuni strumenti: il codice deontologico, ovviamente, che nella sua revisione del 2014 ha messo al centro proprio il rapporto con il paziente, visto come un soggetto da curare in un’ottica più ampia di tutela della salute e di prevenzione, e lo statuto associativo dell’Andi.
Gli ambiti a cui si deve applicare l’etica negli studi odontoiatrici sono due in particolare: l’informazione corretta e puntuale al paziente e la richiesta del consenso. Il consiglio pratico, anche se non è obbligatorio, è di raccogliere sempre, in particolare nei casi più complessi, il consenso del paziente, meglio se per iscritto. «Bisogna perdere un po’ di tempo – dice Rocchetti – per parlare con lui, illustrargli il piano terapeutico, spiegargli anche gli obblighi che lui stesso ha». Se il consenso è solo orale, meglio raccoglierlo alla presenza di terzi: l’assistente, un familiare, un accompagantore.
Stesso atteggiamento anche sul preventivo che va consegnato scritto, fatto firmare per essere valido nei contenziosi, e in cui vanno specificate anche le modalità di pagamento.
Molto netta poi la posizione quando dal paziente arrivano richieste di prestazioni che vanno contro l’etica professionale, il convincimento, la preparazione, la coscienza dell’odontoiatria. «Dobbiamo rifiutarci di eseguirle – sottolinea – anche a costo di perdere il paziente. Se mi chiedono di togliere tutto e fare impianti, ma c’è ancora una radice valida da recuperare, io l’impianto non lo metto, quella è l’ultima spiaggia».
Più complesse le questioni da affrontare sul piano dell’estetica per un organo, la bocca, che, come si è detto, è il biglietto da visita delle persone. «Gli interventi – spiega Rocchetti – si possono fare, ma senza spingersi troppo oltre, riconducendoli sempre all’ambito odontoiatrico. La norma ci consente, ad esempio, di gonfiare le labbra, ma io preferisco non farlo. Siamo sicuri, infatti, che stravolgendogli il sorriso, poi il paziente sarà soddisfatto? Spesso la persona poi non si piace più perché non si riconosce. E ci porta in tribunale».
L’odontoiatra, poi, ha a che fare tutto il giorno con il dolore degli altri, retaggio, soprattutto per gli adulti, delle sofferenze provate da bambini, quando negli studi dentistici l’approccio al dolore del paziente era poco attento. «Dobbiamo essere – continua – più sensibili. Dopo un intervento, telefoniamo al paziente, chiediamo come sta, sinceriamoci che sia tutto a posto, diamo consigli… È un atteggiamento molto apprezzato».
Interessante, inoltre, la finestra aperta da Mauro Rocchetti sul tecnicismo esasperato. «Soprattutto nei giovani colleghi – dice – c’è la convinzione che la buona odontoiatria si faccia con gli strumenti, con le macchine. No: l’odontoiatria è per prima cosa diagnosi e terapia. Uno strumento specifico può aiutarmi in un caso specifico, ma non è il quid in più. Noi sobbiamo esercitare un’odontoiatria realmente sostenibile: mi devo chiede di cosa abbia davvero bisogno il paziente e, fatta la diagnosi, la proposta del piano terapeutico ed economico deve essere la migliore per lui in quel momento». Nella convinzione assoluta che negli studi dentistici non si vende nulla, si cura, si paga una riabilitazione protesica, un atto medico, non un prodotto.
Nella stessa direzione anche l’atteggiamento da tenere davanti al bombardamento di pubblicità spesso “selvagge, indecorose” come non esita a definirle il vicepresidente vicario dell’Andi. Qualche esempio: la pulizia gratuita o scontata se si spendono un tot di euro al supermercato, due prestazioni al prezzo di una, lo sconto se si porta un amico o per la prima visita, il pacchetto Natale… «In un mondo mercificato – conclude Rocchetti – ci sono tanti colleghi che tendono ad adattarsi. Non è questo, però, il metodo. Noi dobbiamo fare informazione sanitaria, non pubblicità. Il mio obiettivo primario è curare la gente con un equo corrispettivo economico. Noi siamo medici della bocca, dobbiamo avere a cuore il paziente e la sua salute». Questi gli aspetti su cui va improntata la gestione dello studio.

Dopo le molte sollecitazioni arrivate da questa relazione, è toccato, invece al professor Antonio Gioacchino Spagnolo, spiegare quali siano i valori che regolano l’etica sulla poltrona del dentista e quali i modelli più comuni di relazione tra il medico e il paziente. Lo ha fatto coinvolgendo sibito i presenti in sala in alcuni esempi di casi pratici: come mi comporto se rilevo un lavoro scadente, mal svolto, da un collega nella bocca di un nuovo paziente? Un dentista può dire a un paziente che i suoi denti sono brutti, suggerendo interventi estetici? Può un dentista in coscienza evitare di raccomandare una terapia migliore, seppur molto costosa, consigliando invece una terapia meno efficace ma più economica?
«La domanda, insomma – dice – è: esiste una bioetica specifica in odontoiatria? No, non c’è una branca specifica. La riflessione in odontoaitria, però, ha bisogno di essere individuata in alcuni elementi, di cui stamattina si è già parlato: la prevalenza dell’attività professionale in ambito privatistico, la relazione amicale che si instaura con il paziente, la bocca come elemento di approccio e di confronto con gli altri, il tecnicismo esasperato».
Necessario, allora, indivudare i valori centrali della pratica odontoiatrica, che non sono stabiliti dal singolo professionista ma dalla comunità scientifica, e possono essere modificati attraverso il dialogo e il confronto, e stabilirne una gerarchia, per poter così risolvere le situazioni in cui questi valori entrano in conflitto. Sei, allora, quelli di riferimento internazionale:

  1. La vita e la salute generale del paziente: l’attenzione alla persona nella sua interezza deve venire prima di tutto.

  2. La salute orale del paziente.

  3. L’autonomia del paziente, fondamentale, che deve però confrontarsi con l’autonomia dell’odontoiatra.

  4. Le preferenze del dentista per alcuni modelli di interventi, la sua “filosofia” se così si può dire, il suo modo di affrontare le situazioni.

  5. I valori estetici, importanti, anche sotto il profilo psicologico, per l’organo in cui si va a intervenire.

  6. L’efficienza nell’uso della risorse, che può avere meno rilevanza, ma è importante parlando di una professione per lo più privatistica.

Quattro, infine, i modelli più diffusi di rapporto tra medico e paziente:

  1. La relazione corporativa, quella in cui è il dentista ad avere le competenze, mentre il paziente no. Competenze di diagnosi, prognosi e terapia che derivano dalla comunità professionale di cui fa parte, dagli studi che ha fatto, dall’esperienza. Un modello, però, inadeguato a rispettare l’autonomia del paziente e i valori che ne fanno parte.

  2. Il modello dell’agente, l’opposto del precedente, quello in cui il compito dell’odontoiatra è rendere effettive le preferenze del paziente, i suoi desideri e bisogni, trasformandolo in una sorta di “esperto in affitto”. Altro modello poco convincente: la risposta ad ogni richiesta del paziente non rispetta il significato della professione.

  3. Il modello commerciale in cui le due parti, paziente e dentista, trovano un accordo e le regole morali che attuano il contratto sono quelle che regolano le transazioni. Un odontoiatra che propone e un paziente che sceglie e giudica, senza però averne le competenze professionali, cosa che costituisce un enorme limite insieme al fatto che la vita e la salute sono valori troppo importanti per essere chiusi in un contratto.

  4. La relazione interattiva, infine, la più auspicabile: un rapporto paritario tra due persone che fanno scelte, che hanno valori personali e che rispettano quelli degli altri, che comunicano tra loro per decidere. Un modello in cui l’autonomia del paziente non è la premessa, il punto di partenza, ma l’obiettivo da raggiungere.

Grande concretezza, infine, nella seconda parte della mattinata in cui gli esperti – a cui si è aggiunta Arianna Sandrin, componente della CAO dell’OMCeO veneziano – hanno affrontato con il pubblico alcuni casi pratici, situazioni che i professionisti si ritrovano a vivere quotidianamente e che comportano scelte difficili:

  • un nuovo paziente con in bocca un lavoro fatto male da un collega;

  • un nuovo paziente che chiede uno sbiancamento ma non vuole sottoporsi alle cure che servono per risolvere problemi di placca, tartaro e carie;

  • un paziente dodicenne a cui serve l’ortodonzia ma che ha genitori separati, uno d’accordo con l’intervento l’altro no;

  • una paziente in gravidanza che rifiuta di sottoporsi a radiografia;

  • una paziente con evidenti segni di violenze e percosse subite.

È Giovana Zanini a illustrare il metodo che può aiutare a decidere in casi simili. «La riflessione etica – dice – è una riflessione razionale delle valutazioni morali, aiuta a capire perché facciamo o non facciamo una determinata scelta. La domanda fondamentale è “qual è la scelta giusta?” in un momento in cui c’è indecisione o in cui, magari, ho già deciso ma mi resta l’amaro in bocca. L’obiettivo, allora, è scindere le varie questioni».
Tra i passi da compiere: identificare i valori in gioco, capire quali siano i valori professionali tra loro in conflitto, capire se ci siano valori professionali in conflitto con valori umani e personali, individuare percorsi alternativi, prevedere le conseguenze delle azioni che si vanno a intraprendere, capire cosa si dovrebbe o non dovrebbe fare sotto il profilo strettamente professionale, alla fine scegliere un percorso e motivarlo.
«Uno dei tenti metodi possibili – conclude la presidente del Comitato Etico per la Pratica Clinica – che può essere usato anche all’interno dei vostri studi. La consulenza etica, ancora poco conosciuta, è uno strumento operativo, ma aiuta perché diminuisce i contenziosi, migliorando la comunicazione con i pazienti e iloro familiari».

Chiara Semenzato, collaboratrice giornalistica OMCeO Provincia di Venezia

Segreteria OMCeO Ve
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