#VIS2018: capire il passato per affrontare le sfide del futuro

La consapevolezza del passato come strumento per affrontare le sfide e le trasformazioni del futuro. L’edizione 2018 di Venezia in Salute ha voluto celebrare i 40 anni del Servizio Sanitario Nazionale attraverso due momenti forti: il convegno scientifico, che si è svolto sabato 22 settembre nella Sala degli Angeli della Scuola Grande di San Marco a Venezia e che ha portato in laguna praticamente tutti i big della sanità nazionale, e l’incontro con i cittadini in piazza a Mestre, domenica 23 settembre, con migliaia di persone che hanno affollato i 31 gazebo di oltre 60 tra enti e associazioni allestiti in via Palazzo e Piazzetta Pellicani per chiedere consigli di salute e conoscere le iniziative presenti sul territorio.
Una manifestazione, giunta quest’anno all’ottava edizione, che non ha eguali in Italia. Una due giorni intensa e costruttiva per ribadire – come ha sottolineato più volte Giovanni Leoni, presidente dell’OMCeO veneziano e numero due della FNOMCeO – che «il nostro sistema deve restare equo e universale: bisogna assolutamente garantire la salute a tutti e superare le disuguaglianze ancora presenti non solo tra Regioni, ma spesso anche tra centro e periferie. Nonostante un finanziamento che ci pone agli ultimi posti a livello europeo, il SSN italiano resta tra i primi al mondo come qualità globale: il quarto secondo una recente classifica di Bloomberg. Vive, però, soprattutto grazie al lavoro instancabile e quotidiano di migliaia di addetti alle professioni sanitarie: sono proprio loro la risorsa principale per milioni di cittadini che accedono alle cure indipendentemente dalle loro possibilità economiche».

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In questa pagina i link ai video delle singole relazione del convegno

I saluti delle autorità
Un’iniziativa, Venezia in Salute, resa da sempre possibile dalla stretta collaborazione in primis con il Comune di Venezia – e il lavoro infaticabile di Nicoletta Codato – e poi con le aziende sanitarie locali, l’Ulss 3 Serenissima e l’Ulss 4 Veneto Orientale. «1978-2018: sono 40 anni – ha sottolineato l’assessore alla Coesione sociale Simone Venturini – in cui il Paese è cambiato. Il ‘78 è stato l’anno dei tre papi in tre mesi, del rapimento e dell’uccisione di Moro, della svolta democratica spagnola… Anni complessi ma in cui la politica con la P maiuscola era capace di sedersi attorno a un tavolo e sfornare una buona riforma che ancora oggi dobbiamo tenerci stretta. Una legge efficace, che funziona, il cui rapporto costo-benefici è il migliore al mondo. I concetti “per tutti” e “bene” sono concetti che forse oggi non riusciamo più a riprodurre. Non siamo mai abbastanza consapevoli del tesoro che abbiamo in termini di qualità professionale dei medici italiani e dell’impianto del sistema sanitario».
Un sistema che, certo, come è stato ribadito più volte, ha bisogno di essere portato al passo con i tempi, «ma che – ha aggiunto Giuseppe Dal Ben, direttore generale dell’Ulss 3 Serenissima – deve continuare a essere autorevole. Venezia in Salute è un evento atteso e partecipato che ha l’obiettivo di portare la sanità in mezzo ai cittadini. Gli studi e le analisi ci dicono che il nostro sistema non mostra i segni del tempo, ma ha comunque bisogno di essere ammodernato. Oggi assistiamo a un eccesso nell’accesso alle prestazioni: il cittadino, allora, deve capire che il sistema gli offre ciò che gli serve. Questa è la sfida culturale da affrontare: una sanità vicina alla gente e diffusa sul territorio».
Nella stessa direzione anche il pensiero di Carlo Bramezza, direttore generale dell’Ulss 4 Veneto Orientale, che ha spiegato come un’altra delle sfide per il futuro sia fare i conti con l’invecchiamento della popolazione e le patologie croniche. «Il nuovo piano sociosanitario regionale – ha detto – si sposta sempre di più dall’ospedale al territorio. Poi dobbiamo assolutamente far fronte al tema della mancanza di medici specialisti e di medicina generale. Questo Paese non sa fare programmazione: negli anni Duemila eravamo senza infermieri professionali, oggi siamo senza specialisti. Ci preoccupa che non venga più fatta la formazione di nuovi medici». Anche se il quadro non appare roseo, un po’ di ottimismo c’è. «Nonostante tutto – ha concluso il dg – io sono positivo. Ce la faremo: continueremo a dare servizi di grande qualità sempre con coscienza e con grande passione».
Nell’ottica di una sinergia non solo tra istituzioni, ma anche tra professionalità diverse, hanno portato il loro saluto al convegno di #VIS anche: Oscar Miotti, vicepresidente dell’Ordine regionale degli Psicologi, che si è augurato che anche la sua professione possa essere sempre più integrata nel sistema sanitario nazionale «perché – ha detto – una buona psicologia serve»; Marina Bottacin, neopresidente dell’Ordine delle Professioni infermieristiche di Venezia, che ha sottolineato come anche nel proprio settore sia importante affrontare il tema della differenza di genere, «quasi tutte donne le infermiere – ha detto – ma pochi ruoli di prestigio»; infine Francesco Zambon, referente dell’ufficio regionale per l’Europa dell’OMS, con sede proprio a Venezia, unico in Italia, che ha presentato i progetti attivati in laguna relativi alle disuguaglianze in salute, legate a fattori economici.

La relazione di Filippo Anelli: disuguaglianze, autonomia e solidarietà
Introdotto da Gabriele Gasparini, vicepresidente della Fondazione Ars Medica, e da Giancarlo Pizza, presidente dell’OMCeO bolognese, ad aprire le relazioni del convegno è stato Filippo Anelli, numero uno della FNOMCeO, che ha illustrato come il ruolo del medico del SSN sia cambiato nel corso degli anni.
«Facciamoci gli auguri – ha esordito – per questi 40 anni che non sono pochi, ma non sono neanche molti: credo che questo sistema sia il frutto di una sinergia di tante persone che ci lavorano, che hanno reso possibile questo “miracolo”, un sistema unico nel suo genere», con al centro lo stesso diritto, il diritto alla salute, per tutti i cittadini in maniera uguale.
Un passaggio netto e rivoluzionario dal sistema mutualistico a quello universalistico, offuscato, però, in questi anni dalle disuguaglianze «che – ha sottolineato Anelli – sono un segno profondo sulla pelle dei medici e degli operatori sanitari. È una questione di Dna: per noi i cittadini sono tutti uguali, non li distinguiamo per colore della pelle o per censo. Chiunque bussi alla porta del medico, ha bisogno di essere aiutato, di essere sostenuto nella sofferenza».
Il presidente della FNOMCeO ha poi passato in rassegna i pregi e i difetti del SSN, sottolineando, sul fronte dell’universalità ad esempio, come il vero problema sia il finanziamento: un quarto dell’intera spesa sanitaria italiana dirottata oggi verso il privato, la forbice che si allarga sul fronte degli investimenti rispetto agli altri paesi Ocse, l’equilibrio di bilancio pagato a caro prezzo con disuguaglianze sempre più profonde non solo tra regioni, ma anche tra centro e periferie, tra città e campagna. «Dove si investe di più nel sistema pubblico – ha spiegato – aumentano la sopravvivenza e i risultati in termine di salute».
Oltre alle disuguaglianze, un altro caro prezzo che si sta pagando per l’equilibrio di bilancio è l’ormai cronica carenza di medici, bomba destinata ad esplodere nei prossimi 5-10 anni. «Le Regioni – ha detto Anelli – hanno le loro responsabilità perché hanno la possibilità di aumentare il numero delle borse, di finanziare il loro fabbisogno. La carenza di medici è un tema drammatico: c’è una grandissima difficoltà dovuta a carichi di lavoro eccessivi, all’impossibilità di soddisfare tutti i bisogni. Questo determina l’allungamento delle liste d’attesa, falsamente correlate all’inappropriatezza. Il 60% dei medici andrà in pensione nei prossimi 10 anni. Siamo in ritardo, in estremo ritardo: non so come si farà a colmare il fabbisogno di medici. È inverosimile si cerchi personale medico all’estero avendo qui parcheggiati 15mila medici laureati che non hanno la possibilità di accedere alle borse di specializzazione».
Filippo Anelli ha dedicato, poi, una parte della sua relazione anche all’ipotesi di autonomia regionale in materia di sanità, specificando che «la richiesta di autonomia non confligge con il sistema. La nostra preoccupazione, però, è che la richiesta d’autonomia confligga con uno dei principi fondamentali che ha caratterizzato il sistema: il principio di solidarietà che ha reso possibile questo “miracolo”. Chi ha più risorse aiuta chi ne ha meno. Il sistema garantisce la solidarietà tra i cittadini: sarà lo stesso se lo smantelliamo? Se mettiamo in discussione le modalità omogenee di lavoro nel Paese? Se i contratti invece che essere nazionali diventassero locali?». Chiara, insomma, la posizione: no a 21 sistemi sanitari regionali tutti diversi che non produrranno benessere.
L’abbandono del paternalismo da parte del medico, l’importanza dell’alleanza terapeutica con il paziente, l’appropriatezza e le linee guida, il ruolo del medico all’interno del sistema che va rivalutato, la necessità che le istituzioni rimuovano gli ostacoli per garantire gli stessi diritti a tutti, gli altri temi sfiorati dal presidente FNOMCeO nel suo intervento. «Il diritto di salute – ha concluso Filippo Anelli – esiste solo nei sistemi democratici: il cittadino ha la pretesa che la sua salute sia tutelata. Il diritto alla salute è un grande diritto e tutti noi dobbiamo impegnarci perché sia valido da Nord a Sud, dal centro alle periferie, dappertutto. Tutti i cittadini sono uguali e i medici sono al loro disposizione».

I temi del mattino
Questioni scottanti quelle sollevate nel suo intervento da Filippo Anelli, di stringente attualità, che hanno riempito negli ultimi mesi le pagine dei giornali. La mattinata del convegno di #VIS è poi proseguita cercando di ricostruire come si sia arrivati a questo punto, in quali direzioni si sia mosso lo sviluppo del SSN. A partire dalla relazione del docente bolognese Francesco Taroni, che ha tracciato un quadro storico di riferimento della sanità in Italia dall’unità al nuovo secolo, e da quella del professore toscano Gavino Maciocco, che ha messo in relazione i sistemi di finanziamento dei vari Paesi europei, in particolare Olanda e Gran Bretagna, sottolineando come tra il 2010 e il 2016 l’Italia non abbia mai incrementato la spesa sanitaria e come il rapporto tra la stessa spesa sanitaria e il Pil sia andato sempre calando con una previsione per il 2019 del 6,5% e al 2020 del 6,32%. «In Italia – ha spiegato – nessuno ha detto esplicitamente che si sta cambiando sistema, ma tutti ci stiamo abituando all’idea che il sistema non ce la fa».
La parola è poi passata al consigliere Adelchi d’Ippolito, procuratore aggiunto della Repubblica del Tribunale di Venezia, che ha tracciato l’evoluzione della responsabilità professionale del medico, alla luce della nuova normativa entrata in vigore l’8 marzo 2017, la cosiddetta riforma Gelli. I progressi tecnologici sono stati, invece, al centro, degli interventi del professore padovano Giorgio Palù, che si è soffermato sulle nuove tecnologie in medicina, sottolineando in particolare i successi della terapia genica e dell’ingegneria genetica, e di Ermanno Ancona, professore emerito di chirurgia generale a Padova, che ha parlato di etica e morale, del medico che sa temporeggiare e che sa osare, del confine sottile tra la determinazione a curare e l’accanimento terapeutico, di come la diagnostica strumentale abbia limitato il contatto tra medico e paziente.

La mattinata è stata conclusa da un altro big della sanità nazionale: il presidente dell’Enpam Alberto Oliveti che ha spiegato come funziona l’ente previdenziale dei camici bianchi, quanto sia in salute e come cerchi di offrire servizi sempre più mirati a migliorare la qualità della vita di medici e odontoiatri. «L’Enpam oggi – ha detto – ha un suo equilibrio, una sua sostenibilità, confermata nel tempo, nei suoi 50 anni di storia. Ha creato valore perché negli ultimi 6 anni con i suoi investimenti ha prodotto una redditività netta di 4 miliardi che si aggiunge ai quasi 6 miliardi dell’attivo delle gestioni legate alla previdenza».
Tra le caratteristiche principali della Fondazione, la circolarità che si è data: di solito chi lavora mantiene chi è in pensione, oggi invece si cerca di sostenere con i contributi che si sono incassati da chi lavora anche chi lavorerà in futuro. A incidere sulle casse previdenziali i tre grandi cambiamenti in atto: la globalizzazione, l’invecchiamento della piramide demografica della vita e la digitalizzazione progressiva delle professioni liberali.
«Una volta – ha aggiunto Oliveti – il medico aveva un ruolo nella scala sociale, l’impressione è che di questi tempi questo ruolo sociale debba essere rinegoziato, ridefinito. Dobbiamo sostenere le professioni, il medico di medicina generale ad esempio. Uno studente non ha tanti buoni motivi per fare il medico di base da grande».
Il progetto Quadrifoglio, il credito agevolato, le coperture assicurative per i rischi professionali, il progetto Long Term Care per il professionista che perde la propria autonomia, il bonus bebè, la possibilità per gli studenti del quinto anno di iscriversi alla cassa prima di iniziare a lavorare sono, allora, solo alcune delle iniziative con cui l’Enpam cerca di supportare i professionisti mantenendo il patto generazionale. «Vogliamo garantire – ha concluso – il nostro supporto per un futuro accettabilmente sicuro, purché si mantenga la nostra autonomia. Puntiamo alla sicurezza delle pensioni, all’assistenza strategica professionale, agli investimenti responsabili e alle sinergie con le altre libere professioni».

I temi del pomeriggio
La sessione pomeridiana – moderata dal presidente Leoni e da Maria Grazia Carraro, direttore sanitario dell’Ulss 4 Veneto Orientale – si è aperta con un altro dei grandi temi salito alla ribalta in questi ultimi anni: la femminilizzazione della professione. Le donne medico sono sempre di più, eppure faticano ancora a raggiungere ruoli dirigenziali e incarichi di primo piano. Caterina Ermio, presidente dell’Associazione Italiana Donne Medico (AIDM), però, non si è soffermata solo sull’evoluzione dei ruoli di genere, ma ha analizzato anche le differenze generazionali tra chi, ad esempio, lavora da trent’anni e i millennials.
«Il conflitto generazionale – ha sottolineato – sembra essere più forte tra le donne. Tra le donne medico il 30% è single, rispetto al 10% degli uomini, 1 su 3 non ha figli, rispetto a una media di 1 su 5 tra gli uomini, e porta a termine la prima gravidanza dopo i 30 anni. Appena il 9% dei direttori generali è donna, il 18% se si sommano anche i direttori sanitari e amministrativi, il 14% dei direttori di unità operative, il 17% dei docenti universitari». Dati che devono far riflettere per indirizzare la gestione del lavoro nell’ottica della compatibilità con la vita non professionale delle donne.
Dopo le donne, i dentisti: la fotografia sul Servizio Sanitario Nazionale è proseguita con la relazione di Luca Dal Carlo, vicepresidente dell’ANDI veneziana, che, dopo aver fornito le cifre sull’odontoiatria italiana, ne ha illustrato problemi e prospettive. «Il problema – ha spiegato – è che per curarsi i denti il cittadino deve mettere mano al portafoglio e questo lo disturba. I cittadini italiani sono tra i più scontenti delle cure odontoiatriche che ricevono, ma forse, sul fronte dell’assistenza, sono anche un po’ viziati. La crisi, poi, ha impattato fortemente sulle nostre attività: molte persone rinunciano alle cure per problemi economici».
La concorrenza sfrenata delle cliniche low cost, con un uso distorto dei messaggi pubblicitari, lo scadimento della qualità professionale, la fondamentale importanza della prevenzione, lo stanziamento regionale per avvicinare alle cure i soggetti indigenti o in difficoltà, gli altri temi sollevati. Tante le iniziative con cui i liberi professionisti dell’ANDI lavorano in sinergia con il SSN: il mese della prevenzione dentale, l’oral cancer day, e, a Venezia, anche il servizio di guardia odontoiatrica gratuita nei giorni festivi, attivo ormai da 23 anni per fornire assistenza e prime cure. «Stiamo lavorando – ha concluso – per cercare di portare questo servizio, per ora gestito sul volontariato dei liberi professionisti, in un ospedale pubblico».
Privato e pubblico, insomma, si intrecciano nell’odontoiatria italiana, cercando nuove sinergie, così come si intersecano nel servizio sanitario. Giuseppe Caraccio, vicepresidente vicario ANISAP Veneto Trentino Alto Adige, Giuseppe Puntin, presidente AIOP Veneto, e Vincenzo Papes, Associazioni delle Aziende Sanitarie Private, hanno spiegato come il lavoro dei privati debba sempre più andare nella direzione delle criticità attuali e future, cioè l’invecchiamento della popolazione e l’aumento delle cronicità.
«I fondi sanitari – hanno aggiunto – devono integrare il SSN non sostituirlo, per dare risposte ai cittadini. Un servizio sanitario pubblico significa che il pubblico garantisce l’accesso ai servizi, non che debba essere monopolistico. Il privato è un settore che dà il proprio contributo con cure di ottimo livello, a basso costo e controlli certificati e continui». E se, come hanno detto, nel privato vince chi innova, loro stessi devono guardarsi le spalle dai grandi gruppi industriali e finanziari che proprio nella sanità cercano di inserirsi.
A Silvia Vigna, della direzione Sanità e sociale della Regione Veneto, infine, il compito di illustrare la gestione organizzativa della sanità a partire dal DM 70, il regolamento che definisce gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera. «Le sfide che restano aperte – ha spiegato dopo aver citato i dati su volumi ed esiti e aver sottolineato come la Regione Veneto sia riuscita a mantenere, nonostante tutto, alti livelli di assistenza – sono queste: gestire i pazienti cronici, il 72% del totale, potenziare gli ospedali di comunità delineando bene quanti siano e che tipo di pazienti possono accedervi, la sintonizzazione di reti, percorsi diagnostici-terapeutici assistenziali (pdta) e centri di riferimento che vanno correlati per rendere i percorsi stessi chiari ed efficienti, la promozione delle eccellenze e, infine, il ruolo chiave delle aziende sanitarie per fare sintesi tra gestione dell’offerta e della domanda di salute, conoscendo bene i bisogni del territorio. Il nostro lavoro dei prossimi anni andrà in queste direzioni».

Tracciato il quadro, la seconda parte del pomeriggio è stata, invece, dedicata a un confronto serrato tra i rappresentanti sindacali delle varie categorie mediche che hanno portato all’attenzione di tutti le istanze dei professionisti. Moderata dal giornalista di Doctor33 Mauro Miserendino, durante la tavola rotonda si è parlato:

  • del blocco del turn over e delle ripercussioni che ha sul SSN, dell’invecchiamento della classe medica, dei 9mila stipendi risparmiati dalle Regioni tra il 2009 e il 2018, del problema dell’accesso alla professione, di chi resta fuori dalla formazione specialistica e degli specializzandi, che sono considerati eterni studenti, mentre in Europa la formazione viene fatta sul campo (Carlo Palermo, segretario nazionale ANAAO ASSOMED);
  • ​delle motivazioni che spingono i medici a lasciare le strutture pubbliche per lavorare in quelle private, delle condizioni stesse di lavoro che i camici bianchi si ritrovano a vivere in corsia, con lo spazio per la vita personale ridotto praticamente a zero, dei tagli alla sanità che si sono ripetuti negli anni e del rapporto, che deve farsi sempre più stretto, tra medico e paziente (Guido Quici, presidente nazionale CIMO);
  • dello spostamento delle competenze dai medici ad altre professionalità, ad esempio agli infermieri, delle liste d’attesa, del cittadino che non conosce la faccia del radiologo e pensa che l’esame lo faccia solo la macchina, dell’eccesso di diagnostica che ha portato a sovradiagnosi (Paolo Sartori, presidente nazionale SNR – FASSID);
  • delle aggressioni al personale sanitario, sempre più frequenti, e della desertificazione nella medicina generale (Silvestro Scotti, segretario nazionale FIMMG);
  • di come si sia riusciti a garantire sul territorio la specialistica ambulatoriale, di quanto incidano sul lavoro le carenze di specialisti e di come si sia sempre di più spostato lo specialista dal territorio all’ospedale, allungando le liste d’attesa (Antonio Magi, segretario generale SUMAI);
  • del desiderio da parte dei cittadini di avere un medico che, liberato dagli adempimenti burocratici, si dedichi in pienezza all’assistenza e del peso sempre maggiore che dovrebbero avere le associazioni che rappresentano i pazienti (Tonino Aceti, coordinatore Tribunale per i Diritti del malato Cittadinanzattiva).

Le conclusioni
«Mai come ora – ha concluso Roberto Monaco, segretario della FNOMCeO – abbiamo fatto bene a convocare gli stati generali della professione. Abbiamo bisogno di un cambiamento e per cambiare è necessario confrontarsi. Il SSN deve rimanere nazionale e non frammentarsi, deve rimanere pubblico e solidale. Il medico del futuro, tra 5 anni, non dovrà più aver paura di andare a lavorare. Se sarà donna dovrà poter fare un figlio senza problemi. Tutti dovranno poter lavorare in sicurezza. Il medico di domani non sarà più un medico di un’azienda, di uno Stato, di un governo, ma vogliamo con forza che sia un medico del cittadino».

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Provincia di Venezia

Segreteria OMCeO Ve
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