Violenza sulle donne, Bordignon: "Il medico può fare molto"

Nel leggere notizie di cronaca di stupri o ancor peggio di femminicidi viene da chiedersi cosa possa spingere un uomo a usare tanta violenza contro una donna. Com'è possibile per un uomo che proprio  la donna, l'oggetto del suo desiderio sessuale e d'amore, colei che ha permesso la sua venuta al mondo diventi il bersaglio contro il quale scatenare la propria violenza? Le riflessioni che sono scaturite da questi interrogativi di recente hanno favorito il costituirsi di gruppi e associazioni di uomini che vogliono mettersi in discussione per capire le radici della violenza che inevitabilmente li coiunvolgono come genere. Se la violenza contro le donne un tempo veniva sottaciuta e considerata come dinamica non scandalosa nei rapporti tra generi, oggi è emersa alla coscienza collettiva come un vulnus all'umanità nel suo insieme, non più tollerabile.

Noi medici ,per definizione, salvaguardiamo la salute come benessere psico-fisico, abbiamo bisogno di affinare la nostra sensibilità per cogliere quei segnali che ci permettono di prevenire e curare la violenza di genere. Per questo l'Ordine veneziano ha preso parte alla definizione del protocollo sulla violenza domestica elaborato dall'Ulss 12  e dalle diverse istituzioni, presentato lo scorso 8 maggio. E ancora: l'Ordine ha in preparazione per la fine del prossimo anno un convegno che ci permetterà di acquisire strumenti anche tecnici idonei alla comprensione e al contrasto del fenomeno.

Intanto cominciamo questo percorso di approfondimento con l'intervista rilasciata al nostro Franco Fabbro da Mattia Bordignon, dottore in psicologia clinica e responsabile area del Centro ARES di Bassano del Grappa. (dott.ssa Alessandra Cecchetto).

L’uomo maltrattante chi è? Se ne può tracciare un identikit?
Sì e no. La violenza domestica è un fenomeno trasversale, diffuso in tutti i gruppi sociali indipendentemente dal contesto economico, etnico, culturale e dai livelli di istruzione. Schematicamente potremmo dire che esistono tre tipi diversi di maschi violenti. Circa un terzo è violento sia nell’ambito familiare che extradomicilio, un terzo mette in atto la violenza in maniera impulsiva e ciclica, alterna momenti di tenerezza a momenti di vera violenza, e infine l’ultimo terzo è rappresentato da uomini che trattengono la rabbia fino all’esplosione (spesso grave, fino all’uxoricidio o femminicidio). Sappiamo poi che in tre casi di uxoricidio su quattro c’erano stati precedenti di violenza, per cui l’intervento rieducativo sul maltrattante va letto anche in un ottica preventiva e di valutazione del rischio. Fattori di rischio presenti nel maschio violento sono l’abuso di alcool o di sostanze stupefacenti, l’essere socialmente svantaggiato, la perdita del lavoro, l’aver subito una qualche forma di violenza nella propria famiglia d’origine, il rifiuto o l’umiliazione subita dal padre, la depressione, la dipendenza emotiva nei confronti della partner.

Perché l’uomo maltrattante usa la violenza nei suoi comportamenti?
Per non confrontarsi con la propria fragilità. L’uomo violento entra in crisi di fronte a un rifiuto (anche percepito, pur non reale) o nel momento in cui la partner decide di separarsi o minaccia l’abbandono. Spesso la violenza si manifesta con la gravidanza, periodo durante il quale l’uomo si sente “messo da parte”. Sono uomini nei quali è evidente il mancato sviluppo di alcune competenze relazionali ovvero hanno una scarsa capacità comunicativa, un'affettività povera e vi è spesso l’incapacità di dare un nome alle proprie emozioni. Uomini che si trovano impreparati di fronte alla dimensione della complessità e dell’imprevedibilità della vita e scelgono di rispondere in modo violento perché non conoscono alternative a questa modalità di risoluzione dei problemi o di risposta alla frustrazione o a emozioni quali la paura, la rabbia e la vergogna.

Quali sono i bersagli preferiti dall’uomo violento? La partner? I figli?
La partner poiché con lei si instaura un rapporto di dipendenza. Di fondo vi è un'incapacità a trovare la giusta distanza tra dipendenza e autonomia. La violenza contro i figli è meno frequente (seppur presente in alcuni casi) perché il maltrattante riesce in parte a mantenere il ruolo genitoriale. Importante sottolineare il fatto che crescere in un ambiente violento – oltre a causare uno stato di sofferenza – facilita l’acquisizione di un comportamento violento. Vi sono, ad esempio, casi in cui il figlio arriva a rivolgere la propria violenza contro la madre.

Con quale modalità si manifesta più frequentemente la violenza? Fisica? Verbale?
Sicuramente prevale in termini numerici la violenza psicologica e verbale. L’uomo violento vuole ottenere il controllo totale della donna, non le permette di uscire di casa, di vedere le amiche, di avere una vita di relazione, la isola sempre di più. Molto forte ed efficace è il ricatto economico, soprattutto se la donna non lavora. Il maltrattante spesso umilia la partner, la svaluta, la “sminuisce” col solo scopo di trattenerla a sé. Spesso poi alza la voce, insulta, minaccia (di uccidere, di portare via i figli) col solo scopo di soggiogarla. Allo stesso tempo la violenza può manifestarsi contemporaneamente in diverse forme, da quella psicologica a quella fisica, verbale, economica, sessuale.

Quali strategie-suggerimenti possiamo mettere in atto per “contenere” la violenza agita?
Raramente la violenza domestica costituisce un fenomeno che tende ad esaurirsi in assenza di un intervento esterno, di sostegno e messa in protezione della vittima o in termini di intervento giudiziario e di presa in carico dell’uomo violento dal punto di vista rieducativo. La donna deve evitare di isolarsi, deve mantenere molti appigli relazionali, punti di riferimento, spazi di libertà, di espressione. Importante non sottovalutare mai un episodio di violenza, nemmeno se è il primo. La donna deve chiedere aiuto poiché al primo episodio può far seguito un successivo secondo lo schema del ciclo della violenza: episodio violento-riappacificazione-tensione-esplosione.

Come si “cura” l’uomo violento-maltrattante? Quanta parte di questa cura spetta al medico?
Ora c’è la possibilità di proporre alla persona violenta un percorso di recupero. L’associazione ARES propone all’uomo un percorso di cambiamento della durata di 6 mesi o un anno-un anno e mezzo in base alle esigenze del singolo caso, attraverso incontri individuali con cadenza settimanale. La nostra consulenza è gratuita e attualmente lavoriamo in collaborazione con diverse istituzioni, come il carcere di Vicenza, all’interno del quale abbiamo attivato un percorso rieducativo con diversi detenuti violenti. Il team è costituito da giovani laureati in psicologia e lavora sulla responsabilizzazione dell’uomo, sul portare alla consapevolezza le dinamiche alla base degli agiti violenti e sullo sviluppo di modalità alternative, impegnando la persona in progetti concreti e seguendone l’evoluzione.

La figura del medico è di fondamentale importanza nella messa in atto di strategie di contrasto a un fenomeno così complesso come la violenza contro le donne. Innanzitutto può rappresentare la porta di accesso alla rete di servizi che si occupano del contrasto alla violenza domestica, sia per quanto riguarda la vittima che l’autore delle violenze. Basti pensare alle unità operative del pronto soccorso e al medico di medicina generale, che possono più spesso venire a contatto con una situazione di violenza familiare. In questi casi quindi il medico può farsi parte attiva nell’invio della persona ai Servizi che si occupano della messa in protezione della vittima o della presa in carico dell’autore di violenza.

L'intervista è del dottor Franco Fabbro

Segreteria OMCeO Ve
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