Riflessioni in margine al Convegno "Comunicare in Medicina: l'Arte della relazione"

RIFLESSIONI IN MARGINE AL CONVEGNO “COMUNICARE IN MEDICINA. L’ARTE DELLA RELAZIONE”

Quello che doveva essere un “semplice convegno” si è alla fine rivelato un vero e proprio evento. Almeno così esso è stato vissuto da molti di noi, se non da tutti. Perché, al di là del valore scientifico, indiscutibile, dell’incontro, al termine di esso ci si è aperto uno spazio di esperienza nuovo e in parte inatteso.
Questo è avvenuto soprattutto grazie alla disponibilità dei medici, che hanno prestato un ascolto aperto e intelligente ai vari aspetti delle quattro relazioni, le quali sono passate dal registro brillantemente divulgativo a quello istituzionale e operativo, dal taglio teorico-speculativo fino a quello più pratico e coinvolgente. All’efficacia della comunicazione hanno contribuito le preziose e pertinenti interlocuzioni dei partecipanti, a cominciare naturalmente da quelle di coloro che avevano l’incarico di discutere direttamente le quattro relazioni. La mattina è stata scandita dal ritmo sostenuto impresso dall’efficace conduzione del dottor Scassola, che ha aperto gli spazi giusti per i vari interventi. È un buon segno che un convegno sulla comunicazione abbia fatto sfoggio, nel proprio realizzarsi, di un’ottima qualità comunicativa. Del resto questa corrispondenza della forma con il contento è uno dei tratti tipici dell’esperienza delle pratiche filosofiche, che di questa giornata costituivano un po’ lo sfondo implicito.
Anche le attività del pomeriggio, che ruotavano attorno ai Laboratori (promossi grazie alla collaborazione con LAI-Libera Associazione di Idee), hanno visto una partecipazione intensa e generosa da parte dei medici. Così il riscontro in sede di plenaria è stato davvero soddisfacente; un vero e proprio crescendo che ha condotto a un chiusura emotivamente molto forte: abbiamo concluso la giornata un po’ frastornati ma profondamente gratificati.
Credo che, oltre all’atteggiamento positivo da parte dei partecipanti, abbia contribuito a creare il clima giusto il fatto che i lavori proposti, in particolare quelli del pomeriggio, fossero il frutto di mesi di lavoro, e di un lavoro nel quale i filosofi intervenuti erano rimasti coinvolti come gruppo oltre che come singoli. Credo che questo aspetto sia stato avvertito e apprezzato dai partecipanti. Ha costituito una particolare soddisfazione, per chi, come noi, si dedica da anni alla non facile esperienza delle pratiche filosofiche, registrare una risposta ampiamente positiva da parte di interlocutori così qualificati. In effetti questo incontro, se da un lato ha costituito il punto di approdo di un lungo percorso (la composizione del libro Primum philosophari, la preparazione del Convegno etc.), dall’altro lato ha rappresentato il primo passo di una collaborazione ancora tutta da esplorare e da inventare ma che potrebbe dare risultati importante e in parte anche inattesi.
Per esempio mi è parso che entrambe le comunità (quella dei medici e quella dei filosofi) abbiano manifestato un forte bisogno di ‘specchiarsi’ nell’altro da sé per riconoscere la propria stessa verità (del resto la parola “speculazione”, tipica del discorso filosofico, ha a che fare proprio con il rispecchiamento). Così, da un lato probabilmente i medici avvertono oggi il bisogno di riappropriarsi di quella che costituisce una delle radici più importanti e autentiche della loro esperienza professionale: la ricerca consapevole della verità per quanto riguarda l’esperienza umana al fine di realizzarne una cura efficace e completa (mi riferisco qui alla radice filosofica, naturalmente). Dall’altro lato, a loro volta i filosofi avvertono con sempre maggiore forza la necessità che le loro riflessioni si confrontino quotidianamente e continuativamente con le altre forme del sapere e dell’operare che riguarda l’umano, se vogliono vedere realizzarsi in pieno il valore delle loro stesse ricerche. Mi è parsa particolarmente evidente, in questa circostanza, la consapevolezza che la separazione dei saperi e delle discipline, che pure è indispensabile nell’età della tecnica, comporta dei rischi dei quali bisogna essere consapevoli; e penso che il Convegno abbia dato un significativo contributo in questa direzione. Insomma, credo che medici e filosofi abbiano scoperto che, nonostante le grandi differenze determinate dall’inevitabile progredire della specializzazione, le loro esperienze restano in fondo molto più vicine di quanto si possa credere a un livello superficiale. Vicine nella fonte (la ricerca della verità e la fedeltà al dovere etico), vicine nel mezzo (la cura integrale delle persone), e vicine nel fine: la piena realizzazione dell’esperienza umana.
Non può meravigliare, allora, che si finisca per scoprire tutti insieme che forse anche professionalmente i due mondi si trovano in una situazione molto più simile di quanto si sia normalmente indotti a credere: simili nella condizione lavorativa e simili nelle difficoltà che questa presenta. Entrambi gli ambienti corrono il rischio di assistere impotenti all’imporsi di una situazione nella quale l’indiscutibile progresso tecnologico minaccia di rovesciarsi in un’esperienza disumanizzante tanto per i pazienti quanto per i ‘terapeuti’. Questa affinità di prospettive mi spinge a pensare (per richiamare ancora una volta il pensiero di Raimon Panikkar, il cui spirito ha aleggiato su tutto l’incontro, il quale parlava spesso di “mutua fecondazione”) che solo una “mutua cura” tra medici e filosofi può offrire una risposta adeguata ai problemi di fronte ai quali tutti ci troviamo non solo come professionisti ma anche come uomini.
Per questo mi pare giusto concludere richiamando le parole, indovinatissime, con le quali uno dei conduttori dei Laboratorio ha sintetizzato con grande efficacia un comune sentire: sorpresa e gratitudine. Gratitudine da parte di ciascuno nei confronti di tutti gli altri. 

LUIGI VERO TARCA
(UNIVERSITÀ CA’ FOSCARI DI VENEZIA)

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