Samueli: «Il biotestamento? Un grande passo avanti per l’Italia»

Medici e avvocati insieme, ieri, mercoledì 20 giugno, al Centro Cardinal Urbani di Zelarino per studiare e analizzare la nuova legge sul biotestamento, chiarire le reciproche posizioni sulla normativa, affrontandone sia gli aspetti giuridici sia quelli medico-sanitari, per comprenderne in pieno l’applicazione pratica. L’incontro di studio, patrocinato dai due Ordini, è stato organizzato dalla sezione Veneto dell’AIAF, l’Associazione italiana degli Avvocati per la famiglia e i minori, e coordinato per i legali da Roberta Bettiolo, responsabile AIAF Venezia, e per i camici bianchi dal gastroenterologo Francesco Bortoluzzi, componente del direttivo dell’OMCeO lagunare.
Non è voluto mancare, per un saluto, il presidente dell’Ordine e vicepresidente della FNOMCeO Giovanni Leoni, che ha sottolineato come la categoria veneziana abbia dedicato negli ultimi anni, anche prima dell’entrata in vigore della legge 219 del 22 dicembre 2017, numerosi eventi di approfondimento sul tema. «Questa normativa – ha aggiunto – ha sicuramente un forte impatto sulla realtà sociale, tutto ancora da verificare. Il nuovo Codice deontologico del 2014 ha modificato molti articoli soprattutto sul rispetto della volontà del paziente e sulla proporzionalità delle cure. Una delle grandi problematiche attuali è la diffusione, l’archiviazione e la possibilità di usufruire delle dichiarazioni su tutto il territorio nazionale».

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La prima parte del pomeriggio è stata dedicata agli aspetti giuridici della norma. L’avvocato di Genova Alberto Figone, del direttivo nazionale AIAF, ha analizzato vari punti della legge, soffermandosi in particolare sul primo articolo dedicato al consenso informato, spiegando cosa sia e come «per la prima volta – ha detto – una legge dello Stato abbia disciplinato un principio comunque già ben riconosciuto». Il legale ha anche analizzato le possibili conseguenze per il medico che, incontrato il rifiuto del suo paziente a una cura o a una terapia, debba decidere se proseguire il proprio operato, nel nome del Giuramento di Ippocrate da lui pronunciato, o astenersi dalla prestazione. L’avvocato Figone – citando vari esempi pratici, dal caso, molti anni fa, del bimbo di Ancona malato di cancro, con ormai prospettive di vita quasi nulle, e i cui genitori volevano affidarsi alla cura Di Bella a quello di Eluana Englaro – ha anche chiarito ai colleghi le norme sul consenso informato per i minori e per gli incapaci, «che potevano essere anche più chiare» ha sottolineato, e il ruolo dell’amministratore di sostegno, qualora fosse individuato dal giudice tutelare.
«La legge – ha concluso Figone – ha ribadito il principio della necessità del consenso informato, richiedendo al medico un impegno gravoso per dare un’informazione capillare perché l’attività del medico diventa legittima a fronte di un valido consenso. L’attività del medico che si attiene alla volontà del paziente è un’attività lecita».
Sotto il profilo pratico, è spettato poi a Franca Pasqualato, responsabile dello Stato Civile del Comune di Venezia, spiegare come deve essere redatta una Dat, disposizione anticipata di trattamento, per essere accolta. «L’ufficiale di stato civile – ha spiegato – non può dare alcuna indicazione sanitaria all’utente, che in caso di richiesta di informazioni viene inviato al medico di famiglia o all’Ulss, e non può partecipare alla stesura dell’atto». Deve, inoltre, prima di trascriverlo nell’apposito registro, verificarne la firma autografa e la capacità di intendere e di volere dell’individuo che la presenta. Sono 55 le disposizioni depositate al Comune di Venezia dall’entrata in vigore della legge, che si sommano alle circa 450 raccolte prima della 219, «ma che – ha concluso – sono conservate dai notai. Pur restando valide ed efficaci devono essere modificate e adeguate alla nuova legge».

La seconda parte dell’incontro è stata dedicata, invece, alle professioni sanitarie. Accenno polemico in apertura del consigliere Francesco Bortoluzzi che ha sottolineato un paradosso dal sapore demagogico: se da un lato la legge sancisce «che il tempo di relazione è tempo di cura», dall’altro ai medici vengono dati appena 10 minuti, «meglio se diventano sette», per fare una visita e abbattere le liste d’attesa.
Il gastroenterologo ha anche spiegato come in realtà i contenziosi con i pazienti nascano non tanto quando il professionista vuole fare di più, ma quando vuole fare di meno. «Il problema – ha aggiunto – è culturale: la maggior parte delle persone crede che la medicina sia una scienza esatta e onnipotente, che possa far vivere tutti in eterno. Noi medici sappiamo che non è così. Da qui si innestano meccanismi non virtuosi che portano ad un atteggiamento diagnostico e terapeutico aggressivo: alla gente piace fare tanti esami, più ne fa, più è contenta. Ma non può essere questo l’approccio».
A servire, invece, è l’appropriatezza prescrittiva diagnostico-terapeutica. «Fare troppo – ha spiegato Bortoluzzi citando le teorie legate alla Slow Medicine dell’associazione Choosing Wisely Italy – non significa fare meglio. Non sempre fare tutto significa fare bene, anzi, a volte, se si supera un certo limite, si possono anche fare danni».
Rifacendosi a casi pratici presi dalla propria vita quotidiana professionale, il medico ha spiegato anche cosa si intenda per nutrizione artificiale e quali terapie possano essere rifiutate, sottolineando come la legge 219 in alcuni casi gli abbia semplificato la vita. In netto contrasto, invece, Bortoluzzi sulla norma che prevede la registrazione del consenso informato. «Chi l’ha scritta – ha concluso – evidentemente non ha mai messo piede in un ospedale italiano e non sa in che condizioni devono lavorare i medici».

Nel dettaglio della legge è entrato, invece, il medico di famiglia veneziano Cristiano Samueli, presidente nazionale dell’AIDeF, l’Associazione per le decisioni sul fine vita, chiarendo subito che sul tema del fine vita negli ultimi 30 anni è cambiato tutto e tracciando un netto solco tra il concetto di desistenza terapeutica, che ha illustrato agli avvocati, e i concetti di eutanasia e di accanimento terapeutico, troppo spesso associati nel dibattito pubblico sul fine vita.
«L’eutanasia – ha detto citando gli articoli del Codice deontologico e il primo documento ufficiale sulle Dat della FNOMCeO datato addirittura 2009 – non ha nulla a che fare col medico. Non si può e non si deve confondere il dare la morte con il lasciar morire. Bisogna valutare se i mezzi terapeutici a disposizione siano oggettivamente proporzionati alle prospettive di miglioramento del paziente: la rinuncia a mezzi straordinari o sproporzionati non equivale al suicidio o all’eutanasia».
Prende, dunque, le fila da qui la desistenza terapeutica, il desistere da terapie futili, non perché sbagliate, ma perché non accettate dal paziente. Un atteggiamento che trova poi fondamento nell’etica dell’accompagnamento. «Da una parte – ha aggiunto – c’è il cittadino con il suo diritto costituzionale all’autodeterminazione, dall’altra il medico con i suoi diritti e i suoi doveri deontologici. Le chiavi nel fine vita sono l’alleanza terapeutica e la pianificazione condivisa delle cure, cioè un percorso di cura stabilito insieme tra professionista e paziente».
Fondamentale, infine, che per le disposizioni anticipate di trattamento sia creato un registro nazionale, accessibile a tutti i medici, superando il più volte sollevato problema della privacy. «La legge sul biotestamento – ha concluso Samueli – ha portato l’Italia a fare un salto molto più ampio sul fronte dei diritti rispetto al resto d’Europa. Le Dat sono un diritto vostro, di tutti. Questa legge ha ancora dei punti sui quali ragionare, come ad esempio l’obiezione di coscienza del medico, ma va difesa».

Prima della conclusione, la parola è passata anche all’infermiera professionale Barbara Franzoi, coordinatrice del reparto donazioni e trapianti dell’Ulss 3 Serenissima, che, citando anche alcuni casi clinici, ha spiegato proprio il suo ruolo di accompagnamento nel fine vita, fatto di gesti concreti, di empatia con il paziente e con i familiari, di comunicazione e di attenzione. «La nostra – ha sottolineato – deve essere una relazione d’aiuto. Accudire non accanirsi. Non dobbiamo giudicare, dobbiamo parlare ai pazienti in modo semplice e comprensibile, nei luoghi e nei momenti giusti, senza nascondere la verità, ma anche senza prolungare il processo della morte».
Ruoli difficili e grandi responsabilità, insomma. E, dopo lunghe attese, una legge che oggi, forse, un po’ semplifica il quotidiano dei professionisti della salute. Perfettibile, certo, ma intanto un passo avanti.

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Provincia di Venezia

Segreteria OMCeO Ve
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