Medici e cittadini nella nebbia delle DAT: ecco come orientarsi

Documenti non vincolanti, ma di cui il medico deve tenere conto: questo, per ora, sono le DAT, dichiarazioni anticipate di trattamento, sottoscritte nelle forme più varie, spesso anche abbastanza fantasiose, in attesa della legge che regoli la materia, sottoposta in queste settimane all’esame del Parlamento.
Ed è proprio l’attuale vuoto normativo a scatenare un’enorme confusione, sia nei medici, che non hanno linee guida precise su cui muoversi, sia nelle amministrazioni pubbliche, che si arrangiano come possono, sia, infine, nei cittadini, che vogliono manifestare le proprie volontà senza però avere un quadro e un contesto preciso, senza, ad esempio, sapere esattamente cosa sia o non sia accanimento terapeutico o in quali situazioni le DAT abbiano un valore.
È questo il quadro emerso ieri sera, mercoledì 22 febbraio, dal convegno Le dichiarazioni anticipate di trattamento: una questione aperta, organizzato dall’OMCeO veneziano e dalla Fondazione Ars Medica, con la segreteria scientifica di Federico Munarin e di Giovanna Zanini, membri della Fondazione ma anche direttore del Distretto Sociosanitario 2 dell’Ulss 3 Serenissima, il primo, e presidente del Comitato Etico per la Pratica Clinica dei distretti del veneziano e di Dolo-Mirano sempre dell’azienda sanitaria lagunare, la seconda.
La serata si è aperta con un minuto di silenzio per ricordare Luigi Conte e Rita Finotto, «due colleghi scomparsi di recente – ha sottolineato Giovanni Leoni, presidente dell’OMCeO veneziano – che, seppur in situazioni diverse, hanno dato molto alla nostra professione».
Un tema, quello delle DAT, che ha scatenato un enorme interesse da parte dei camici bianchi: la sala gremitissima e le tante richieste arrivate a iscrizioni ormai chiuse potrebbero portare a una replica del convegno in tempi brevi. Un tema così presente anche a livello nazionale da spingere la FNOMCeO a dedicare, la settimana scorsa, un consiglio monotematico.

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Obiettivi del corso di aggiornamento: fare un po’ di chiarezza, anche culturale, almeno nell’ambito della professione e far capire che le DAT non sono una cosa che riguarda solo i singoli, ma una rete di persone che va dal paziente e dalla sua famiglia al medico di medicina generale, agli specialisti, ai medici palliativisti, agli infermieri.
A tracciare il quadro normativo di riferimento, tra la legge all’esame della politica e le regole dettate dal Codice di Deontologia Medica, è stato chiamato Maurizio Scassola, vicepresidente della FNOMCeO e medico di famiglia veneziano, che a questo tema ha dedicato negli ultimi tempi buona parte del proprio lavoro.
«Il disegno di legge sulle DAT – ha spiegato – è molto coerente con il percorso professionale del medico e della Federazione, è un esempio virtuoso di come il codice deontologico e le norme etiche che ci siamo dati, quelle della politica e delle nostre comunità possano trovare una sintesi. Sono le buone pratiche di un paese democratico e solidale».
Le DAT, insomma, non sono una casualità, il disegno di legge non è stato assemblato a tavolino, ma sono la sintesi perfetta di un percorso culturale, antropologico, comunitario che parte dalla professione medica e dai principi contenuti nel codice deontologico, tra cui l’autonomia del paziente e quella del medico, concetto più volte sottolineato dal dottor Scassola nella sua relazione. Altro concetto fondamentale inserito nella legge: il medico deve tener conto delle DAT, che possono però essere disattese, senza responsabilità penale o civile del professionista, nel momento in cui ci sia un farmaco che in una patologia cronica può migliorare la qualità della vita del paziente.
Cinque gli articoli contenuti nel disegno di legge: il primo dedicato all’importanza del consenso informato, il secondo ai minori e alle persone con disabilità, il terzo che entra nello specifico delle DAT, il quarto per la pianificazione delle cure e le norme transitorie finali. Fuoco della discussione politica, in queste ore, i concetti di idratazione e nutrizione. «Sotto il profilo clinico, però – ha detto Scassola – i dubbi sono limitati. Idratare sì o no? Nutrire sì o no? Sempre? Mai? Dipende dalla particolare condizione che il paziente sta vivendo in quel momento».
Una buona legge, insomma, almeno secondo la FNOMCeO, quella che è in dirittura d’arrivo in Parlamento. «Una buona legge – ha concluso il vicepresidente – se va nella direzione indicata dal codice deontologico e se rispetta l’autonomia del medico, come garante dell’autodeterminazione della persona assistita. Non autonomia intesa come voglia di fare ciò che si vuole, ma autonomia che serve al medico per lavorare in serenità».

Il rapporto tra principio di autonomia del paziente e principio di autonomia del medico è la questione etica che sottende al tema DAT, come ha spiegato Giovanna Zanini, chiamata a illustrare i problemi che in questo ambito si trova ad affrontare quotidianamente nel suo ruolo di presidente di più Comitati Etici per la Pratica Clinica e a raccontare che tipo di documenti arrivino sul suo tavolo, la loro eventuale validità giuridica, gli strumenti con cui vengono prodotti.
«Le DAT – ha aggiunto – sono uno strumento per recuperare in situazioni di incapacità decisionale il ruolo che viene svolto dal dialogo informato tra medico e paziente. Paziente cosciente c’è lo strumento del consenso informato, paziente non più in grado di intendere e volere si deve recuperare la relazione attraverso le DAT».
I criteri che devono governare le dichiarazioni per avere valore bioetico sono:

  • che abbiano valore pubblico: siano cioè fornite di data, redatte in forma scritta (mai orale) da soggetti maggiorenni, capaci di intendere e volere, autonomi e non sottoposti ad alcuna pressione familiare, sociale, ambientale;

  • che non contengano disposizioni aventi finalità eutanasiche che contraddicano le regole di pratica medica e di deontologia: il medico non può essere costretto a fare nulla che vada contro la sua scienza e coscienza;

  • che siano compilate con l’assistenza di un medico che può controfirmarle;

  • che siano tali da garantire la massima personalizzazione delle volontà del paziente, non consistano nella mera compilazione di moduli o stampati, chiariscano le situazioni cliniche in cui devono essere prese in considerazione.

Nella totale confusione che regna in materia, però, quasi mai questi documenti contengono i criteri indicati, a partire dall’assistenza del medico: più probabile ci si trovi davanti moduli scaricati da internet, documenti scritti in casa da soli o atti notarili, in cui si chiede, in modo generico e talvolta piuttosto fantasioso, di non essere intubato e legato a una macchina”, o si afferma di non volere “cure palliative per il prolungamento della vita”, o “l’accanimento terapeutico”, o ancora “cure invasive”. Ad aumentare il caos anche i registri istituiti dai Comuni, che accolgono qualsiasi tipo di documento prodotto con qualsiasi modalità, senza alcun tipo di collegamento con la struttura ospedaliera.
Una perplessità, infine, sulla legge allo studio del Parlamento. «Nel nuovo provvedimento – ha spiegato la dottoressa Zanini – non c’è alcun riferimento all’obiezione di coscienza del medico, che è vincolato tranne nel caso di novità sotto il profilo scientifico e farmacologico che possano migliorare la qualità della vita del paziente. Ma se io, medico, avessi invece il dubbio che quella DAT non sia stata costruita sulla base di un’informazione clinica? Come dovrei agire nel rispetto della mia autonomia?».

Tracciato il quadro di riferimento, anche normativo, Cristina Potì, responsabile dell’unità operativa Sicurezza del Paziente dell’Ulss 3, ha fornito il punto di vista medico-legale, sottolineando innanzitutto che, in tema di DAT, non c’è alcuna differenza tra paziente terminale e paziente con altre infermità; specificando poi che oltre al consenso, c’è il dissenso, cioè il paziente può anche rifiutare la cura, prima che esse abbia inizio, o rinunciarci durante il percorso; infine passando in rassegna gli articoli dei codici civile e penale e del codice deontologico che aiutano i medici ad orientarsi sul tema. «Le caratteristiche – ha spiegato – a cui dobbiamo attenerci per considerare valida una dichiarazione di volontà sono 3: la certezza della manifestazione, la consapevolezza e l’attendibilità».
Fondamentale, poi, avere un’espressione chiara nella documentazione sanitaria. «Noi medici – ha sottolineato – siamo ancora convinti che meno si scrive, meglio è. Non è così: una buona ed esauriente documentazione sanitaria sarà, da una parte, il miglior strumento di comprensione per il paziente e la sua famiglia, dall’altra la migliore difesa del medico per far capire i passaggi logici che lo hanno condotto a prendere una determinata decisione».
Alla base di tutto, il rispetto totale della volontà del soggetto. «Le DAT – ha concluso – sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento sempre che il soggetto sia in condizione di poterlo fare. Con questa legge, che anche secondo me è una buona legge seppur migliorabile, non risolviamo il problema. I dubbi etici resteranno sempre. Ma la cosa fondamentale è rispettare l’indipendenza del soggetto e tutelare la sua volontà».

Nell’ultima parte della serata, infine, spazio alle cure palliative attraverso il toccante racconto di un caso personale e professionale del dottor Munarin e dell’esperienza maturata da Giovanni Poles, responsabile della Rete Cure Palliative del distretto veneziano dell’Ulss 3 Serenissima.
«A cambiare il quadro negli ultimi 40 anni – ha spiegato il dottor Poles – sono state le maggiori aspettative di vita, l’aumento delle patologie croniche e le nuove tecnologie. Le DAT, che coinvolgono più soggetti, devono essere contestualizzate avendo ben chiari i processi, le traiettorie delle malattie. Non tutto può essere regolamentato e codificato».
Citando una disinformazione sempre più dilagante, anche in casi recenti, ha poi chiarito i concetti di sedazione palliativa, che si fa e si è sempre fatta in condizioni cliniche particolari, di eutanasia, di accanimento terapeutico. «Noi medici – ha aggiunto – dobbiamo dare più risalto all’esperienza,c he ci permette di dare giudizi forti, solidi sull’attività clinica e su come si gestiscono i pazienti. Il medico deve essere un soggetto propositivo. La riflessione culturale deve partire da aspetti etici, deontologici e giuridici».
Anche da parte sua qualche perplessità sul disegno di legge allo studio del Parlamento, soprattutto sulla questione nutrizione e idratazione – «un problema fittizio, perché va calato nelle particolari circostanze» – e sulla possibilità del medico, nel rispetto della propria autonomia, di sollevare dubbi di carattere etico sulle DAT. «Dobbiamo tenere alto – ha concluso – il livello di guardia. Non facciamoci dire cosa fare: abbiamo una coscienza etica, facciamo pesare il nostro agire».
È come se, insomma, una nebbia fitta ancora avvolgesse la questione: dubbi, perplessità e confusione che, si spera, si diraderanno appena il disegno di legge sulle DAT sarà approvato, appena medici e strutture ospedaliere potranno avere linee guida chiare su cui modellare i loro operati.

Chiara Semenzato, collaboratrice giornalistica OMCeO Provincia di Venezia

Segreteria OMCeO Ve
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