Chiarezza e prudenza per redigere il certificato “perfetto”

Poche semplici accortezze, un’attenzione in più e la giusta dose di prudenza: questo il segreto per redigere certificati pressoché perfetti, qualsiasi siano le mani in cui poi finiranno. Sì perché ormai questi documenti ufficiali non arrivano solo sui tavoli dei colleghi medici, ma spesso anche su quelli della magistratura o delle assicurazioni e, per non far finire nei guai il professionista che li ha redatti, devono essere inattaccabili.
Sul solco già tracciato dal primo incontro, organizzato lo scorso 22 marzo (leggi qui un resoconto), è stato all’insegna della concretezza e della praticità anche il secondo seminario di approfondimento di pratica certificativa, che si è svolto nella sede mestrina dell’Ordine ieri sera, giovedì 12 aprile, organizzato da Cristina Mazzarolo, medico legale del Dipartimento di Prevenzione dell’Ulss 3 Serenissima, nonché consigliera dell’OMCeO veneziano. Assenti per impegni romani il presidente Giovanni Leoni e il vice Maurizio Scassola, è stato il segretario Luca Barbacane a fare gli onori di casa.

Clicca qui per guardare la galleria fotografica

Clicca qui per vedere le slides dei relatori

Alla stessa dottoressa Mazzarolo il compito di aprire le relazioni spiegando i requisiti formali e sostanziali che rendono validi alcuni certificati particolari, ma di pratica corrente per qualsiasi medico, qualsiasi specializzazione abbia: la constatazione del decesso e la denuncia di morte, la scheda ISTAT per capirsi, obbligatori quando si verifica l’evento morte.
Tra i requisiti di validità più importanti – ed è proprio uno degli elementi in cui spesso si cade in errore – c’è l’ora della constatazione del decesso, «che non è banale – spiega Cristina Mazzarolo – perché nell’ora indicata non cessa di esistere solo la persona fisica, ma anche quella giuridica, l’individuo tutelato per beni e interessi dallo Stato. È in quel momento, ad esempio, che possono partire una successione o un’eredità. L’ora è importante perché la possibilità che una persona possa essere sepolta, tumulata o cremata avviene solo dopo un certo di numero di ore da quella della constatazione del decesso».
La modalità di stesura del certificato non è vincolata: viene lasciata al medico la possibilità di decidere come compilarlo. Fondamentale, però, che l’ora indicata sia quella in cui effettivamente il medico constata il decesso. «Non si deve scrivere – aggiunge il medico legale – l’ora che ci viene riferita dai familiari, ma il momento in cui noi, nel posto in cui si trova la persona morta, ne constatiamo il decesso. Può sembrare banale, ma purtroppo talvolta capita ci siano nei certificati incongruenze o difficoltà e bisogna calcolare che questi documenti poi vanno allo stato civile, restano protocollati e possono, ad esempio, essere acquisiti dalla Procura della Repubblica». E cita l’esempio recente del cittadino veneziano trovato morto in casa sua da parecchi anni, “la mummia” come l’hanno soprannominata i giornali. «Noi – dice – abbiamo constatato il decesso nel momento in cui siamo arrivati sul luogo. Solo in un secondo momento si fanno le analisi per capire a quando risalga la morte vera e propria».
Un accenno anche al trasferimento della salma che può essere autorizzato già subito dopo la constatazione di decesso e inserito nello stesso certificato o in uno diverso, stilato ad hoc. «Per un desiderio della famiglia – spiega la dottoressa Mazzarolo – o per il microclima inadatto, per ragioni igienico-sanitarie o per le condizioni della salma, il trasferimento può essere disposto subito in un luogo più idoneo. Tre anni fa, in un’estate caldissima, ci è capitato il caso di una signora anziana deceduta, lasciata in un miniappartamento al quinto piano di 50 metri quadri, senza aria condizionata, dove vivevano anche padre, madre e due bambini. Il medico che ne aveva constatato il decesso aveva segnalato che la salma non potesse essere trasferita prima di 36 ore. Non vi dico in che condizioni fosse».
Ultima parte della relazione dedicata alla denuncia di causa di morte, la scheda ISTAT, un certificato obbligatorio, omogeneo in tutta Italia, con campi precisi da compilare, utilizzato a fini statistici ed epidemiologici. «Un certificato – sottolinea la dottoressa Mazzarolo – che deve essere il più completo possibile e che spetta al medico curante. Scrivere “arresto cariocircolatorio” non ha tanto senso: la scheda ISTAT è un documento ufficiale che serve a risalire alla causa iniziale della morte, a capire la causa fisiopatologica del decesso».
In questo certificato, ad esempio, la dicitura “morte improvvisa” ha un significato ben preciso e si riferisce ai lattanti o alla popolazione di una certa fascia d’età, in completa salute e senza fattori di rischio. Casi in cui viene richiesta un’autopsia a scopo clinico. «Non si può scrivere – aggiunge – “morte improvvisa” in soggetti novantenni pluripatologici. E se proprio, in casi del tutto eccezionali, non si riesce a capire la causa, sulla scheda si segnala “causa patologica indeterminata”».

Certificati diversi sono quelli legati ai nuovi reati di omicidio stradale o lesioni personali stradali, introdotti dalla legge n° 41 del 23 marzo 2016. Una normativa severa con pene alte: se una persona si mette alla guida ubriaca, ammazza qualcuno e scappa, la pena può arrivare fino a 18 anni di carcere.
«Uno dei doveri codificati per il medico – dice illustrando gli articoli della norma Silvano Zancaner, direttore di Medicina Legale dell’Ulss 3 Serenissima – è quello di collaborare a fini di giustizia. Potete essere chiamati dall’autorità giudiziaria a fare qualcosa e non potete rifiutare. Come, ad esempio, gli accertamenti coattivi dello status: in caso di possibile reato, il pm può ordinare a un medico di fare una visita o un prelievo contro la volontà del soggetto».
Due i documenti principali – che hanno entrambi la logica di informare l’autorità giudiziaria per un reato perseguibile d’ufficio – a seconda della qualifica giuridica del medico al momento della stesura: se è in attività libero-professionale c’è l’obbligo di referto, se in qualità di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio (ospedalieri, medici di medicina generale, convenzionati) l’obbligo di denuncia di reato. Entrambi vanno fatti immediatamente o al massimo entro 48 ore per il libero professionista, senza ritardo e indicando gli elementi di prova all’autorità giudiziaria per il medico dipendente pubblico o convenzionato.
«Le lesioni personali legate a sinistro stradale – spiega ancora il dottor Zancaner – sono classificate in lievissime, lievi, gravi e gravissime. Sono queste ultime due quelle perseguibili d’ufficio, cioè che devo segnalare all’autorità giudiziaria: le lesioni gravi provocano una malattia che abbia più di 40 giorni di durata, che provochino pericolo per la vita o diano un danno permanente a un senso o a un organo; quelle gravissime danno malattie insanabili, la perdita di un senso, di un organo, di un arto, della capacità di procreare, una difficoltà permanente del linguaggio o una deformazione permanente del viso».
Ma cosa comporta per il medico questa nuova normativa? «Mettiamo – esemplifica il medico legale – che tizio abbia un incidente con una prognosi iniziale di 15 giorni. Poi viene da voi e gli rilasciate un certificato di ulteriori 30 giorni di malattia. In totale 45 giorni: diventa lesione personale grave e deve scattare la denuncia». E ora cominciano a fioccare gli avvisi di garanzia per i medici che, in casi simili, non hanno fatto tempestiva denuncia.
«Il mio consiglio, allora – conclude Zancaner – è di usare prudenza nelle valutazioni di durata della malattia, una durata che deve essere legata a lesioni obiettivabili e non a sintomi riferiti. Per quanto possibile cercate di distinguere chiaramente il concetto di malattia da quello di “postumi”. Il magistrato tende a diventare nervoso quando vede che una frattura comminuta di femore ha la stessa durata della malattia di una, dubbia, distorsione del rachide cervicale».

Requisiti e criticità medico-legali dei certificati anamnestici per l’idoneità psico-fisica alla guida e al porto d’armi il tema dell’ultima parte della serata, analizzata da Angelo Coletti, primo Dirigente medico della Polizia di Stato e viceconsigliere ministeriale. «Il certificato anamnestico – spiega – deve essere fatto ogni volta che si fa una patente di guida, anche se ce n’è già una e si vuole acquisire una categoria di patente diversa. C’è un modello standard pubblicato dal Ministero della Salute e può essere redatto dal medico di fiducia, cioè il medico di medicina generale, lo specialista in caso di soggetto con una particolare patologia, o un medico legato al soggetto da un particolare vincolo di fiducia».
Importante, però, fare attenzione perché nel modello presentato dal Ministero si segnalano alcune mancanze, come, ad esempio, l’indicazione delle patologie respiratorie. «Due anni fa, però – aggiunge – preso atto che gran parte dei sinistri era provocato da colpi di sonno legati alle apnee notturne, questa sindrome è stato inserita tra i requisiti fondamentali da valutare, come la vista o l’udito». Meglio segnalare anche le patologie in cui è prevista l’ossigenoterapia e quelle del sangue che provochino invalidità che possano avere influenze sulla guida.
Altra considerazione da tener presente: la possibilità di limitare la validità della patente, sotto il profilo temporale, ad esempio solo nelle ore diurne, per la velocità, un raggio di distanza o anche la possibilità di entra o meno in autostrada.
Sul fronte del porto d’armi, infine, il certificato anamnestico può essere rilasciato solo dal medico di famiglia e la legge specifica che l’uso di sostanze stupefacenti e l’abuso di alcol possono essere cause di non idoneità. «Succede talvolta, però – conclude il dottor Coletti – che il medico non sappia che al paziente è stata ritirata la patente per abuso di alcol. Questo tuttavia non sfuggirà, poi, all’organo di polizia che farà i propri riscontri attraverso l’incrocio dei dati. Il consiglio che, comunque, vi do è quello di non pensare che la buona fede del paziente sia sempre automatica».
Rapporto di fiducia, sì, insomma, ma ingenuità no. E se proprio il certificato è già stato rilasciato e nel frattempo insorge qualcosa che metta in dubbio la validità della patente o del porto d’armi, la strada da percorrere è una sola: rivolgersi al dipartimento di prevenzione o, nel primo caso, alla motorizzazione, nel secondo alla questura che provvederanno agli opportuni accertamenti. Una telefonata in più per non fare errori e dormire sonni tranquilli.

Chiara Semenzato, giornalista OMCeO Provincia di Venezia

Segreteria OMCeO Ve
Categoria News: 
Notizie medici
Pagina visitata 3249 volte